Che il segreto della longevità delle aragoste possa diventare anche il nostro? L’ipotesi dell’Università del New South Wales in Australia
Se l’unica certezza nel mondo è il fatto che tutti, nessuno escluso, invecchiamo, lo stesso non sembra essere per le aragoste.
Il famoso crostaceo, infatti, a differenza di tutte le altre specie, continua a crescere per tutta la vita, arrivando a vantare una longevità degna di pochi simili.
Le aragoste più antiche catturate, ad esempio, avevano un’età stimata fra i 120 e i 140 anni.
Le ragioni della loro morte sono dunque per differenti dalla vecchiaia: o finiscono, per cause umane, sulla nostra tavola, oppure possono decedere per la stanchezza provocata dalla muta, ossia la sostituzione del guscio a causa delle loro dimensioni crescenti.
Le aragoste, dunque, sarebbero biologicamente immortali se non si stancassero.
Perché le aragoste non invecchiano? Il segreto della loro longevità
Per comprendere la differenza fra il nostro processo di invecchiamento e quello delle aragoste dobbiamo, anzitutto, capirlo in generale.
Noi, anzitutto, siamo dotati di DNA, un codice genetico che, come evidenziato nell’articolo pubblicato dalla UNSW Sidney, istruisce i nostri corpi a compiere tutte le azioni necessarie per la vita.
Il DNA è composto da filamenti che si raggruppano in strutture che vengono chiamate ‘cromosomi’.
Ciascun cromosoma contiene, a sua volta, i ‘telomeri’, che gli studiosi dell’università australiana descrivono come dei cappucci alle estremità dei filamenti di DNA per proteggerli dai danni.
Per farci comprendere al meglio questo concetto, l’università paragona i telomeri alle punte di plastica che vengono poste sulle estremità dei lacci delle scarpe per evitare che si sfilaccino.
Ogni cellula del nostro corpo ha una durata limitata, e per rinnovarsi deve suddividersi in due cellule figlie.
Prima di farlo deve però copiare il proprio DNA due volte, uno per ogni cellula figlia, ed ogni volta che questo processo avviene i telomeri si accorciano.
“Ogni volta che la cellula si divide si verifica una parziale erosione del telomero. Quando raggiunge una certa lunghezza critica, la cellula non può più dividersi”, ha affermato il dott. Unnikrishnan.
Il cosiddetto orologio biologico, dunque, è la lunghezza dei telomeri, la quale determina fino a quante divisioni può fare una cellula.
Quando infatti finisce il telomero, le cellule non si riproducono più ed è come se il corpo si autodistruggesse assieme alla cellule.
Qual è dunque il segreto di immortalità delle aragoste?
Una volta compreso il nostro processo di invecchiamento da umani, sarà più facile comprendere il segreto di lungavita delle aragoste.
Questi crostacei hanno una lunghezza di vita straordinaria grazie a un’enzima chiamato “telomerasi” in molte delle loro cellule.
Questo enzima è in grado di ripristinare la lunghezza dei telomeri, aumentando il numero di divisioni che una cellula può compiere prima di morire o diventare inattiva.
Ciò consente alle cellule di continuare a dividersi e alle aragoste di continuare a crescere e riparare i loro corpi: da qui la loro lunghissima vita.
Per quanto riguarda la nostra specie, in quanto umani anche noi abbiamo la telomerasi, ma è attiva solo in alcune cellule speciali come le staminali, le quali possono continuare a rinnovarsi per periodi di tempo molto lunghi.
Ma dunque, gli esseri umani potrebbero utilizzare la telomerasi per vivere più a lungo?
Il dubbio riguarda il legame fra le telomerasi e il cancro.
“Il mio motivo principale per essere scettico su questa strategia è che [la telomerasi] non è normalmente espressa nella maggior parte delle cellule adulte. Ma è spesso “attivata” nelle cellule tumorali… contribuendo a mantenere l'”immortalità” del cancro“, ha spiegato la dottoressa Lindsay Wu, Responsabile del laboratorio per la ricerca sull’invecchiamento presso l’UNSW Medicine & Health.
Le cellule tumorali, dunque, per riprodursi più velocemente e più efficacemente attivano l’enzima della telomerasi.
La complessa relazione tra telomeri, invecchiamento e cancro deve essere dunque meglio compresa, avvertono i ricercatori dell’Università australiana, prima che la telomerasi possa potenzialmente essere utilizzata in ambito terapeutico.
Per ora, si legge sul comunicato stampa dell’Ateneo, “le aragoste rideranno di noi dal fondo dell’oceano mentre facciamo il nostro terzo pisolino della giornata e dimentichiamo dove abbiamo lasciato le chiavi della macchina (di nuovo)”.