Il dodo (uccello estinto tre secoli fa) ora può essere resuscitato!

I ricercatori dell’Università della California di Santa Cruz hanno annunciato di aver rintracciato una notevole sezione di DNA del dodo. Parliamo di un uccello estinto tre secoli fa, che popolava le isole Mauritius nell’Oceano Indiano. La traccia biologica da poco recuperata ha permesso ai biologi di completare il genoma dell’uccello estinto. Quindi i ricercatori potrebbero essere ora a un passo dalla de-estinzione dell’esemplare.

I primi risultati della ricerca dei biologi dell’Università della California indicano che, almeno teoricamente, sarebbe possibile riportare in vita il dodo. Ma a che scopo e con quale sicurezza?

Il dodo prende il nome da un termine portoghese che sta per “stupido”. Questo perché i marinai lo ritenevano una preda facile… (wikipedia) – curiosauro.it

Resuscitare il dodo…

Presto gli scienziati pubblicheranno il genoma completo appena sequenziato. Ciò ci pone di fronte a una concreta, anche se complicata, possibilità: quella di riportare in vita l’esemplare estinto. Dal punto di vista tecnico, la de-estinzione è una procedura parecchio complessa e delicata. Ma il genoma completo dell’animale estinto ci permette di poter ricreare un esemplare molto simile a quello originale.

Il dodo (Raphus cucullatus) era un uccello estinto incapace di volare, endemico nelle isole Mauritius, fra Africa e India. Il parente genetico più stretto del dodo era il solitario Rodrigues, anch’esso estinto. Queste due specie formarono la sottofamiglia Raphinae, lontanamente parenti con piccioni e colombe. Secondo le testimonianze degli uomini che l’hanno visto e descritto più di trecento anni fa, era un uccello alto fino a un metro, con un piumaggio grigiastro o bruno e un ciuffo di piume chiare ricciute sulla sua estremità posteriore. La testa era grigia e spoglia di piume. Aveva il becco colorato: verde, nero e giallo. E poi aveva zampe robuste e giallastre, con artigli neri.

Come mai è estinto? La colpa, come al solito, è dell’uomo. Essendosi evoluto in isolamento, lontano da importanti predatori, il dodo non era spaventato dagli esseri umani. Poi era incapace di volare. Per questo quando i marinai della Compagnia delle Indie olandesi, insieme agli spagnoli, ai portoghesi e agli inglesi, sono arrivati alle Mauritius hanno subito cominciare a predare il dodo. La carne di questo uccello veniva usata per i rifornimenti delle navi e per dare da mangiare agli schiavi. Quando i nuovi coloni delle Mauritius introdussero nuovi animali come cani, gatti, maiali, ratti e macachi mangiatori di granchi, per quest’uccello è stata la fine. Tutti questi nuovi predatori saccheggiavano i nidi dei dodo. E intanto gli umani continuavano a distruggere l’habitat forestale della specie.

Non è una novità né un caso isolato. Dal XVI secolo a oggi, l’uomo ha portato all’estinzione almeno seicento specie solo tra i vertebrati. Tuttavia, da qualche anno, si ragiona di sfruttare i progressi dell’ingegneria genetica e della clonazione per riportare in vita gli animali estinti.

Un esemplare straordinario di DNA

Il cranio di un dodo, conservato in un museo in Danimarca (wikipedia) – curiosauro.it

Beth Shapiro, ricercatrice alla guida del team di biologi dell’Università della California, è riuscita a mettere mano su un “esemplare straordinario” di DNA del dodo. Un reperto proveniente dalla Danimarca. Una traccia non completa, ovviamente, ma abbastanza integra da permetterle di cominciare a lavorare sul sequenziamento del genoma. E avendo a disposizione l’intero codice genetico dell’esemplare, è possibile cominciare a organizzarsi per la de-estinzione.

Non sarà semplice, anche perché la clonazione degli uccelli è molto più complicata di quella dei mammiferi. Quindi la ricerca potrebbe orientarsi verso misure alternative alla clonazione. In mano abbiamo qualcosa di importante: l’intero genoma dell’uccello estinto nel XVII secolo. Una traccia completamente sequenziata. E chissà, magari, nei prossimi decenni potremmo davvero rivedere in natura questo sfortunato pennuto.

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