Arte: la ripetizione di un dipinto fa cogliere il presente

La ripetizione del medesimo soggetto in un dipinto è dettata dalla volontà di cogliere quel soggetto nell’immediato e nell’attimo non ripetibile. Lo fece anche Monet, dipingendo più volte le sue splendide ninfee.

Queste raccontano la ricerca della bellezza e le meditazioni di uno straordinario artista del Novecento.

Ninfee, Claude Monet – curiosauro.it

Il dipinto della natura

Monet amava la natura ed era affascinato dalla sua mutevolezza, per questo motivo la maggior parte delle sue opere sono state dipinte en plein air (all’aria aperta). Il pittore voleva cogliere le sottili sfumature che la luce e l’aria riuscivano a generare su ogni particolare della natura. Lo scopo di Monet era quello di far cogliere le immagini come se si vedessero ogni volta per la prima volta. Per esempio, le ninfee dipinte al tramonto avevano una luce diversa da quelle dell’alba, oppure tutto era diverso se c’era vento oppure pioggia. Insomma, Monet si voleva soffermare sul mutare delle cose.

La sua casa aveva due magnifici giardini che lui curava personalmente: uno di impianto tradizionale e uno orientale. Monet pensò al secondo tipo di giardino perché ispirato dal Giappone, che piaceva a tutti ed era una novità del XIX secolo. Complici di questa fascinazione collettiva erano le grandi Expo Universali che ne testimoniarono entusiasticamente usi e costumi. E fu proprio all’Expo che Monet si lasciò sedurre dai giardini di meditazione all’orientale allestiti nelle edizioni parigine del 1867 e 1878. Per questo decise di farne uno anche a casa sua e… lo fece senza indugio!

Ninfee, Claude Monet – curiosauro.it

Un dipinto da giardino

Il giardino orientale di Monet era ricco di piante esotiche con qualche elemento architettonico. Suggestivo soprattutto il ponte giapponese, che vediamo in alcuni dipinti. Le piante che si trovavano all’interno erano iris, papaveri, tulipani, rose e, naturalmente, le splendide ninfee. Queste piante erano un impegno quotidiano che ben presto, però, divennero un’ossessione per l’artista. Per Monet i riflessi dell’acqua, l’ombra tremula dei salici che riverbera nello stagno, le corolle bianche e rosate delle ninfee, erano molto più che il piacere della contemplazione

Sfruttò così la modalità del dipingere in serie le ninfee proprio per farsi l’occhio su quel soggetto preciso, per vedere di volta in volta che cosa cambiasse rispetto al dipinto precedente e come mutassero i colori dalla sera alla mattina, dall’alba al tramonto, dall’inverno all’estate. Monet, dunque, per tutta la vita, riuscì a dipingere immerso nella natura, e per farlo aveva bisogno non solo di vederla, ma di sentirla in tutti i suoi fenomeni

Il ciclo delle ninfee

Le prime ninfee le dipinse già nel 1903, proprio sulle rive dello stagno. Le tele adagiate lì, sul bordo, erano grandi. Ci lavorò per anni, qualcuna la fece per venderla, altre ancora non sapeva. Il pubblico le vide per la prima volta nel 1909 dal mitico Durand-Ruel, gallerista e amico di una vita, che ne espose più di 40 in una mostra che intitolò: Les nimphéas: séries de paysages d’eau. Il pubblico si divise: ad alcuni piacquero altri, invece, cercarono di capire cosa fossero.

Il ciclo delle ninfee è composto da ben 250 dipinti, oggi sparsi nei più importanti musei del mondo. Ora è facile apprezzarle perché sono affini alla nostra visione dell’arte e i loro caratteri peculiari conosciuti, come:

  1. Le spennellate sfaldate.
  2. La superficie della tela che emerge.
  3. I contrasti dei colori.
  4. La perdita dell’orizzonte.
  5. L’assenza di narrazione.
  6. La forte sensazione che non si tratti di rappresentare qualcosa che si vede.

Monet morirà nel suo angolo di paradiso a Giverny nel 1926, all’età di 86 anni, stroncato da un tumore polmonare. Nei suoi dipinti qualcuno ravvisa il dolore per la malattia, soprattutto durante gli ultimi anni della sua vita.

Claude Monet, pittore – curiosauro.it
Impostazioni privacy